Scambi di favori
Massimo Mauro: «Tutti fingevano di non vedere»
di Vera Schiavazzi e Marco Bobbio 29/5/2006
Ex attaccante, oggi commentatore tv e candidato per l'Ulivo, spiega che il sistema Moggi era alla luce del sole.
«Io sono calabrese.
Quando ero parlamentare, una signora delle mie parti venne a pregarmi di trovare un lavoro a suo figlio. Le spiegai che non potevo e non lo ritenevo giusto, ma il ragazzo dopo 6 mesi fu assunto in banca e lei mi inondò di dolci fatti in casa e di ringraziamenti. "Guardi che non ho fatto nulla" ripetevo, ma era inutile...
Ecco, credo che a Luciano Moggi fatti come questo ne siano capitati molti».
Massimo Mauro ha 44 anni, un passato di attaccante prima nella Juve di Giampiero Boniperti poi nel Napoli di Diego Maradona e un presente di commentatore calcistico per la Sky e di consigliere comunale di Torino nella lista dell'Ulivo.
Mauro, qual è stata la sua prima reazione all'inizio dello scandalo?
Non siamo delle verginelle, nessuno di noi. Che Moggi parlasse con arbitri e designatori per fare gli interessi della sua squadra non mi ha stupito, certamente Adriano Galliani o Giacinto Facchetti facevano lo stesso per il Milan o per l'Inter. Semmai mi ha colpito che i dirigenti, e soprattutto i proprietari di Juve e Milan, non si fossero resi conto prima che questo sistema non poteva durare: in 15 anni, 6 scudetti al Milan e 7 alla Juve, uno alla Lazio per il Giubileo… Com'era possibile far finta di non vedere? Sono stato il primo a parlare di sistema e mi hanno quasi aggredito, ora questa definizione è accettata da tutti.
Già, com'era possibile? Lei vedeva? E se vedeva, lo ha detto a qualcuno?
Più volte ho detto ad Antonio Giraudo che non condividevo la sua politica sportiva e credo che anche lui lo confermerebbe. Dopodiché, lui e Moggi, che io ho incontrato al Napoli, sono stati in tutti questi anni i migliori dirigenti sportivi italiani. Controprova? Tutti li volevano.
Davvero la vecchia Juve di Giampiero Boniperti era un'altra cosa?
Le rispondo così: Boniperti non è mai stato intercettato.
Lei ritiene che questo sistema si reggesse su scambi di denaro?
Sarebbe stato paradossalmente meglio: due o tre arbitri corrotti e la cosa finiva lì. Invece i soldi non c'erano, c'erano favori, compiacenze, potere, millanterie… È ancora più avvilente.
Quali sono stati gli errori della politica?
Il principale è stato non volere e non sapere riformare lo sport. Poi il governo di centrosinistra, che sono molto contento di avere sostenuto, ne ha commesso uno molto grave firmando il provvedimento con il quale i diritti televisivi sono diventati soggettivi e non più gestiti dalla Lega. Su questo punto ebbi molte divergenze con Vincenzo Vita (allora sottosegretario diessino alle Telecomunicazioni, ndr), mentre ero invece d'accordo con Letizia Moratti, che voleva aprire le porte a Rupert Murdoch sostenendo che con lui i diritti avrebbero continuato ad andare a beneficio di tutti, in proporzione, e non quasi esclusivamente alle grandi società.
E consentire alle società di quotarsi in borsa non è stato uno sbaglio?
No, semplicemente la compensazione per il fatto che non potevano più registrare come capitale i giocatori. Io sono stato relatore alla Camera di quel provvedimento e non credo di dovermene pentire. Invece l'allora presidente del Coni, Mario Pescante, che ora si dichiara contrario, mandò più di un telegramma per ringraziare il governo.
Perché ha chiuso con il Parlamento e vuole fare il consigliere comunale?
Perché in Calabria, dov'ero eletto, il sistema politico non consente la presenza di chi come me non ha un partito. A Torino vorrei occuparmi di sport, quello per tutti.
Fonte
www.panorama.it
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