Nei nostri primi “appunti di viaggio” c'eravamo lasciati con un concetto che continuo a ritenere fondamentale, nonostante sia in contrasto con il mio operato di tifoso.
“Essere tifosi della propria squadra e di null'altro, avere la sciarpa con i colori del cuore e non perché ci sia scritto sopra il nome del gruppo...”.
Eccoli qua, concetti precisi che non fanno una piega, ma che vengono enunciati proprio da chi tanti e tanti anni fa aveva visto nei nascenti gruppi la strada giusta e che lungo quella strada ci si é buttato a corpo morto.
Ma allora perché sono così sicuro di non essere in contraddizione?
Proprio io che con il CUCS ho vissuto in totale simbiosi, giorno dopo giorno, campionato dopo campionato, come si farebbe con un figlio che lentamente ti cresce sotto gli occhi... ma questa frase non é di oggi vero Fausto?
Il fatto é che pur essendo tutto così apparentemente uguale non lo é per niente: il gruppo di ieri é uguale a quello di oggi solo concettualmente, il messaggio che ti arriva oggi mi sembra di poter dire, senza paura di essere smentito, che sia diverso da quello di ieri.
E' sottointeso che quando si parla di un messaggio si faccia riferimento al tifoso ed é proprio qui il bandolo della matassa.
Il tifoso é diverso, e questo suo cambiamento ha snaturato, sovvertito e cambiato il concetto di gruppo con tutte le conseguenze, a volte imprevedibili, che ne sono derivate e che tutt'oggi balzano prepotentemente agli occhi di tutti!
Quando a cavallo tra la fine degli anni '60 e i primi anni '70 iniziavano a muoversi le acque, il tifoso era terribilmente semplice nella sua ingenuità.
Ho detto ingenuo, non stupido, tanto che “nessuno” si faceva mettere i piedi in testa da “nessuno”.
All'epoca, il gruppo iniziava a rappresentare la naturale aggregazione di tanti ragazzi e ragazze che sentivano la necessità di fare quadrato, perché in esso trovavano forza e sicurezza, comprensione e voglia di fare.
Il gruppo era motivo d'orgoglio, lo sentivi come una seconda pelle e, quando era necessario, dovevi difenderlo dagli attacchi esterni, dalle cosiddette tifoserie nemiche.
Ma "nemici" a parte, era collocato nella tua curva, dove sapevi di essere al sicuro, dove entravi orgoglioso, sicuro, senza paura.
Dove si stava tutti insieme, stretti come sardine, a cantare per 90 minuti. Con il sole, la pioggia, la neve, sotto le stelle.
Cantare da far scoppiare la gola, senza soste, senza mollare mai. Si poteva anche perdere, ma la tua squadra non si poteva discutere, si doveva solo amare.
E infatti era proprio così, e questa realtà era tacitamente accettata da noi senza neanche fiatare.
La Rometta (per arrivare alla MAGICA ci vorrà ancora qualche annetto... ) ci metteva tutti sullo stesso livello. Eravamo tutti uguali senza distinzione e i gruppi all'epoca già esistenti non si ostacolavano tra di loro in nessuna maniera, perché al di sopra di tutto troneggiava imperioso l'amore per Lei.
Creare un gruppo unico voleva solo essere la maniera di migliorare qualcosa di già valido, di coordinare al meglio un potenziale di enorme portata.
Organizzare la curva anche per potersi confrontare, senza sfigurare, con le altre tifoserie, alcune delle quali erano già anni luce avanti a noi.
I motivi erano questi, sotto non c'era nient'altro!
Il dio denaro era ancora lontanissimo, come lo erano radio, negozi, gruppi fatti su misura solo per far soldi e non per far “crescere” i giovani e sprovveduti tifosi; era davvero una realtà meravigliosa nella sua semplicità e sono sicuro che la stessa aria si respirava ovunque in giro per l'Italia calcistica.
Altro che nemici, tutti quanti più o meno in contemporanea muovevamo i primi passi, tutti accomunati dalla stessa voglia di costruire qualcosa, tutti fomentati da quei benedetti colori. Davvero tutti quanti, senza alcuna eccezione.
Volevamo tanto avere notizie di questa benedettissima mentalità ultras, in realtà é davanti agli occhi: ai nostri che tanto abbiamo fatto per crearla e farla crescere, e a quelli di chi é arrivato dopo e comodamente si é seduto al tavolo, debitamente ed elegantemente apparecchiato, e si é messo a mangiare.
Senza ringraziare nessuno, senza sentirsi in dovere di chiedersi chi sia stato così in gamba ad apparecchiare la tavola.
La mentalità é davanti al nostro naso, solo che é un fardello pesante da portare perché implica tanti aspetti difficili da accettare e da rispettare. Per questo tutti la menzionano ad ogni occasione, ma in pochi la vedono.
E ancor di meno la “vivono”.
|